Marrakech
Un’esplosione di bellezza, colori, profumi, sapori
“Ogni grande viaggio, inizia sempre con un primo, piccolo passo.”
La mia Africa inizia da qui: Jamaa Al Fna, Marrakech.
Giorno 1.
<<Tre ore di volo, venti minuti di taxi folle e, dalla sveglia delle cinque che per una volta non detesti, ti ritrovi catapultato nell’ombelico di una città, in una realtà surreale che ancora non sai quanto in seguito amerai e quanto ti rimarrà impressa dentro la mente e in quella parte di cuore che riservi soltanto alle cose SPECIALI!
Un concentrato di profumi di spezie e cibo e gente e pelli e cose di ogni specie e natura (che finché il tuo naso non ci si abitua non riesci a descrivere se non con la parola contraria), ti occupa abusivamente quel malcapitato angolo di cervello riservato all’olfatto, mentre tutto intorno si contendono la tua attenzione musiche di incantatori di serpenti, battiti di mani, tamburi, suoni meccanici di ṭarbūsh truccati, scimmie incatenate che urlano, motorini che sfrecciano in mezzo ai passanti, asini, carri e… persone, che dai souk circostanti si riversano sulla piazza come un fiume in piena, materializzandosi senza sosta intorno a te. Il caos perfetto regna sovrano e il trambusto più assoluto avvolge Jamaa El Fna: centro vitale e caratteristico della città.
È in quel momento che dalla Kutubyya in lontananza, il canto imponente del muezzin satura l’aria e un silenzio riverente e ovattato cala sulla piazza e sulla Médina antica come una sorta di incanto. Ti volti verso la moschea e solo allora, quando la città impassibile ti lascia guardare il cielo per un attimo, ti accorgi di quanto sia infinitamente bello il tramonto su Marrakech!>>.




TIPS: per sopravvivere alla piazza, armatevi di sorriso e di MOLTA… MOLTISSIMA pazienza! Se siete stanchi o irascibili, accelerate il passo e fate finta di dover raggiungere un luogo con molta urgenza. Se volete passeggiare per la piazza e osservare intorno, tenete presente che verrete fermati ogni cinque passi: i venditori sono “un po” insistenti, ma sono sempre gentilissimi e sorridenti, quindi se non vi interessa acquistare, ricambiate con un sorriso e continuate la vostra passeggiata. Se volete fotografare qualcuno o qualcosa, chiedete sempre il permesso e ricordatevi di ricambiare la gentilezza con qualche dirham : non fatevi venire in mente di fare foto di nascosto!
Godetevi la piazza prima del tramonto, e rimaneteci per assaggiare le delizie della cucina marocchina per cena.


Vita nei Souk
Prima di partire, una persona cara mi disse: “Marrakech non è un posto qualsiasi. Marrakech è uno di quei posti che se non vedi e non vivi in prima persona non potrai mai capire realmente.”
Ed è proprio la verità. Marrakech è souk dedalici pieni di un mondo. Un mondo a parte. Un mondo fatto di musiche, colori, odori, luci, ottoni, artigianato, calore, diffidenza, fumi di scarico irrespirabili dei motorini, asini, cibo, tappeti, babouches, calma, fretta, rumore.
Marrakech è frenesia inarrestabile sulla quale ogni sera puntualmente, calano come un velo la calma e il silenzio a scandire le ore della notte. Si ristabiliscono gli equilibri essenziali, poi sorge ancora il sole.
Per i souk della Medina antica non esistono guide turistiche, non esistono cartine geografiche e se ve lo state chiedendo la risposta è: no, non esiste neanche google maps! Perdereste il vostro tempo!
Ma se avrete il coraggio di fidarvi della città, girovagate senza una meta e lasciatevi trasportare dalle strade più anguste!
Giuro che è così che Marrakech mi ha regalato la vista di posti meravigliosi!




















NB: so che in foto non sembra così estremo, ma credetemi se vi dico che in questa città non esistono leggi della fisica. Basta guardare le strade: è un continuo assistere ad una corsa ininterrotta nella quale carrozze, asini, biciclette, carretti, motorini con tre/quattro persone sopra (contemporaneamente) e mezzi di fortuna vari ed eventuali che sfrecciano alle massime velocità NON consentite, son sempre lì lì per frantumarsi l’uno contro l’altro, ma alla fine non si toccano mai.
Ebbene sì: a Marrakech l’impresa più “off-limits” che nessuna guida turistica saprebbe consigliarvi, non è camminare senza perdervi nella Medina, o avere la meglio su un mercante nei souk, bensì attraversare la strada senza morire (perché se nessuno ti pesta muori comunque d’infarto).
D’altronde le rotte sono solo un concetto di pura astrazione, giusto?
Amo questa città.
Souk de Tapis: una chicca da non perdere
In questo souk uno si aspetta di vedere da un momento all’altro Aladdin sfrecciare sopra un tappeto magico come nei mercati di Agrabah… si, so bene che l’ambientazione del cartone dovrebbe essere un’altra, ma in mezzo a tutte queste lampade e tappeti la mia mente divaga.
Questo scenario fantastico e super colorato si dirama intorno ad una piccola piazza che una volta faceva da sfondo ad un tragico evento quale la vendita degli schiavi, mentre oggi fa da teatro alle aste dei tappeti tra mercanti. È un posto da non farsi mancare se si visita Marrakech.
I venditori sono molto gentili e il luogo è molto meno caotico rispetto agli altri souk circostanti.
Giorno 5.
<<Il tatto è di sicuro, e per quanto mi riguarda, il più viscerale di tutti e cinque i sensi. Chiudo gli occhi ed affondo istintivamente la mano nella lana di un Beni Ourain.
Tutti gli altri sensi si annebbiano per qualche secondo, mentre il venditore marocchino non perde tempo ad avvicinarsi con i suoi saluti in sette lingue e la sua affabilità… ed è proprio qui e in questa precisa occasione che la cultura berbera inizia a sortire in me un’irrefrenabile curiosità nei confronti del suo fascino essenziale.
Ovviamente ogni cosa che mi incuriosisce si trasforma in un “Momento enciclopedia”.
Faccio qualche domanda riguardo quel tappeto e inizia un trattato inglese/francese con nomi tamazight e arabi buttati li sui vari Rabati, Chichaoua, Zanafi e Kilim di diversi colori e fantasie e rasature e, dopo circa venti minuti, mi inizio a fare un’idea generica di quanto vasta possa essere la cultura e la storia del tappeto in Marocco. Scopro che il Beni Ourain nello specifico, appartiene alla tradizione e manifattura degli Amazigh del Medio Atlante ed è fatto interamente con lana di pecora: un gigantesco tappeto bianco latte con sopra disegni geometrici e simboli riguardanti la vita dell’artigian* che lo ha realizzato, dipinti con l’utilizzo di tinture naturali ricavate dalla Lawsonia Inermis (più comunemente nota come Henna) e dalla rosa di Dadès. Uno spettacolo di arte minimal!
A posteriori mi chiedo quanto possa essere matta da uno a dieci per passare venti minuti a parlare di un tappeto, ma sorridendo mi rispondo che quello era davvero un gran bel tappeto e che in fondo è proprio questo il viaggio: conoscere il mondo attraverso le cose che ad uno sguardo veloce e disattento possono risultare banali, e l’unico modo per farlo è attraverso gli occhi, i racconti e le conoscenze delle persone che la strada ti mette davanti!>>.
Note: ci sono altri due souk da non perdere assolutamente:
Souk Haddadine: fabbri a lavoro, suoni dei martelli sulle incudini e odori forti. È proprio qui che vengono prodotte (e si possono anche acquistare) tutte le lampade e gli ottoni che si possono ammirare nei negozi della medina.
Souk dei mercanti di pelli: un corridoio di cumuli di pelli in attesa di essere acquistate dai pellettieri, vi condurrà in una piazza chiusa dove le pelli vengono trattate e lasciate essiccare al sole. Il posto è abbastanza “Local” e non sono assolutamente ben accetti i fotografi, perciò vi sconsiglio di tenere la macchina in vista.
Bab Mellah
Il colore è bellezza e armonia, ma ciò che rende davvero speciale una foto per chi l’ha scattata è il concentrato di profumi di quel luogo in quel preciso momento nascosto in essa. È quella l’anima della fotografia. Il ricordo. Prepotente. Del profumo. Ad occhi chiusi.
Giorno 6
<<Labirintico.
È questa la prima ed unica parola che mi invade la mente mentre cammino per il Mellah di Marrakech, e francamente non pensavo che avrei potuto riutilizzare facilmente questo aggettivo dopo aver vissuto per giorni nella Médina antica.
Iniziamo dalla verità: visitare questo quartiere ebraico può rivelarsi un’esperienza abbastanza intensa, ma posso garantire che ne vale davvero la pena. Claustrofobici meglio astenersi. È tutto un insieme di edifici alti, altissimi, molto più alti rispetto quelli della Médina. I vicoli sono stretti il doppio e non ci sono molti punti di riferimento, ragione per la quale è facilissimo perdersi in questo blocco di edifici interrotti da stradine aggrovigliate che si inseguono tra loro ininterrottamente da decenni.
Fatiscenza e fascino regnano sovrani nel silenzio. Il posto è ormai quasi totalmente disabitato e quando succede di incrociare qualcuno, la sensazione che si percepisce è di diffidenza mascherata da indifferenza. Praticamente un quartiere fantasma, e il bello è che il fantasma sono io.
Per fortuna la mia curiosità ha sempre la meglio su quel timore reverenziale che alcuni posti mi ispirano e così vago per una buona ora in questo quartiere muto.
Finalmente arrivo davanti la sinagoga Laazma, dove incontro un ragazzo sulla trentina che con desolazione e gentilezza si vede costretto a disilludermi sulla mia volontà di visitarla e di vedere in seguito il cimitero bianco.
Grazie alla Lonely Planet che non ne ha fatto menzione e alle mie ricerche (devo ammettere in questo caso superficiali), ho minimizzato la mia esperienza e imparato a mie spese che se c’è un giorno sbagliato per visitare un quartiere ebraico, quello è di sicuro lo Shabbat (sabato), momento in cui è interdetto ai non ebrei l’ingresso ai luoghi di culto.
Sorrido un po’ delusa e arrabbiata con me stessa e guardando dal basso questi edifici di terra rossa che si allungano verso il cielo azzurro, mi domando quanto possa essere ipnotica la vista di questo Mellah dall’alto!>>.


Muslim
Devozione, preghiera, credo!
È stupefacente vedere la città “fermarsi” nelle ore di preghiera.
È incredibile vedere fino a che punto la religione permei la vita e ne scandisca i suoi ritmi.
È estasiante ascoltare il canto del muezzin che da varie moschee contemporaneamente si diffonde sopra ogni cosa a suon di “Allahu Akbar”: Dio è il più grande. D’altronde muslim vuol dire proprio questo, la sottomissione dell’uomo a Dio.
Di fronte a questa grande manifestazione di fede di una città intera si riesce soltanto a fermarsi, tacere e ascoltare questo canto antico con i brividi sulla pelle.
Rispetto per ogni cultura, sempre!
Le Jardin Secret
Nella Medina conosco due posti soltanto dove è possibile trovare silenzio e pace: il tetto del riad dove ho alloggiato (e scommetto quasi ogni tetto in generale) e “Le Jardin Secret”.
Il secondo è uno dei pochi posti che non ho dovuto cercare appositamente, perché ci sono arrivata per caso girando tra Bab Doukkala e Mouassine.
Questo giardino tradizionale islamico è come se fosse protetto in una gigantesca e invisibile palla di vetro che lo mantiene incontaminato da tutti quegli odori e quei rumori che regnano sovrani fuori dalle sue mura in Rue Mouassine. Una vera e propria oasi, ricca anche di piante esotiche , al centro della città rossa.
“Du Paradis dans un coin”
(il paradiso in un angolo) per dirla con un verso di De Noyâr.


Marrakech Museum
Circondato da un’immensa corte esterna ornata da piante secolari, palazzo Mnebhi, meglio noto come museo di Marrakech, è sito in Place Ben Youssef nella zona della Médina.
Giorno 4:
<<Un profumo di storie antiche satura la mia immaginazione mentre cammino attraverso i corridoi lunghi e stretti fino a quelle che erano le cucine, i douria, l’hammam e le stanze che oggi fanno da sfondo a mostre ed esposizioni artistiche contemporanee sulla cultura berbera e su quella marocchina.
Come i panorami più incredibili alla fine di ogni salita, dal corridoio più lungo arriviamo al cuore dell’edificio: una maestosa corte interna invasa dalla luce gialla che, entrando dai vetri che fanno da soffitto, avvolge e impregna ogni centimetro di questa sala: un concentrato di decorazioni islamiche, pilastri maestosi, archi imponenti, splendidi mosaici e tutto questo scintillio bronzato etereo che mi fa socchiudere gli occhi!
Mi sembra di stare esattamente in Nordafrica (dove effettivamente sono) ma un centinaio di anni più in là!
Un panorama suggestivo sulla storia di questa città che mi ha riempito il cuore!>>.
TIPS: il cortile interno che vedete qui sopra è annegato di luce gialla, perciò se volete che le vostre foto non siano troppo calde, bilanciate prima i bianchi della vostra macchina.
Palais El Bahia
Un palazzo immenso, quasi infinito, composto da oltre 150 stanze tutte finemente decorate con marmo, legno di cedro, pitture dai colori vivaci e decorazioni in zellige dal perfetto stile Hispano-moresco.
Un susseguirsi di 150 soffitti unici e mai ripetuti che valgono ognuno almeno quindici minuti con il naso all’insù.
Un palazzo totalmente privo di arredamenti per lasciare la sua arte libera di esplodere in ogni direzione…
Ci sarebbe molto e molto poco da dire se non la seguente frase ripetuta milioni di volte:
“I soffitti di El Bahia“.
Chiaramente non tutte le cose possono essere descritte a parole, soprattutto l’arte, che a mio avviso è una percezione quasi totalmente soggettiva influenzata dal proprio stato d’animo in quel momento, MA… vorrei tanto potervi far avvertire la portata del mio torcicollo dopo essere uscita, a distanza di qualche ora, da questo palazzo a dir poco fastoso, sfarzoso, ricercato e curato nel minimo dettaglio, solamente per dirvi che, se andrete mai a visitare il palazzo El Bahia, dovreste tenere a mente di portare antidolorifici oppioidi con voi.
In tutto ciò, la mia deviazione professionale mi fa pensare a come dovevano essere eleganti le ventiquattro concubine del Vizir con i loro abiti di seta nell’harem!


TIPS: se volete fotografare il palazzo in tutta la sua magnificenza evitando le frotte di turisti, scegliete le prime ore del mattino per la visita.
Le Jardin Majorelle
Visitare questo posto, vale tutta quanta l’ora di fila che ho dovuto fare al suo ingresso e, con il senno di poi, sarei disposta a farne anche di più per non perdermi questo spettacolo.
A quanto pare, il botanico e pittore Jacques Majorelle, creò questa tinta di blu (battezzata in seguito con il suo nome) per intonare la sua villa alle tute da lavoro degli operai francesi.
Nel 1960, questo posto fece perdutamente innamorare Yves Saint Laurent in persona che vent’anni dopo lo acquistò per preservarne lo splendore. Egli amò a tal punto questo posto che lo scelse come letto delle sue ceneri e lo donò alla città di Marrakech ( oggi accanto al giardino si trova il magnifico museo di YSL).
Il giardino ospita più di 300 specie di piante provenienti da tutti e cinque i continenti ed è uno spettacolo di arte e botanica curata minuziosamente. Merita la stessa attenzione il museo berbero ospitato all’interno della casa, perciò: munitevi di ticket integrale, fatevi condurre dai sentieri che camminano attraverso altissimi corridoi di bambù e immergetevi nel silenzio e nell’arte di questo posto SENSAZIONALE!



Alloggiare a Marrakech
Riad Tasneem, nel cuore della medina antica
Anche se la zona antica della città era quella meno consigliata in quanto a “sicurezza”, ho scelto ugualmente di alloggiare per qualche periodo in casa di locals. La Médina mi sembrava la scelta migliore da fare per vivere un’esperienza full immersion nella cultura del posto e io ho scelto di viaggiare, non di fare vacanze. Ho scelto di girare il mondo così: zaino in spalla e andare! Dritta al cuore dei posti, senza mezze misure se non il minimo indispensabile della prudenza.
Così al diavolo gli stupidi consigli turistici.
Ho prenotato (tramite Airbnb) una sistemazione nel cuore della Médina antica. Trovare il posto è stato sinceramente abbastanza arduo, e mi sono dovuta affidare ad un ragazzo della zona che per una manciata di dirham mi ha portata al mio riad, ma ne è valsa la pena: la mia ospite, una gentilissima “Big Mama” africana, è stata un angelo e mi ha preparato delle colazioni afrodisiache.
Il posto è davvero super caratteristico, e la terrazza più alta è stata il mio angolo di paradiso dove ho potuto riposare dopo giornate piene passate a scoprire la città.
Per il resto… penso che queste foto parlino da se!





Sapori dal Marocco
Sono nata in una terra nella quale l’arte culinaria dovrebbe essere dichiarata l’ottava meraviglia del mondo. Sono cresciuta con l’odore di basilico che invadeva la cucina in primavera, i sughi freschi della domenica, la pasta fatta in casa e sulle mani il calore dolcissimo del pane appena sfornato.
Potevo mai immaginare che io, PROPRIO IO, avrei mai pensato con nostalgia ad un pane che non fosse quello di mia nonna?
Procediamo con ordine: la legge dovrebbe imporre, per il bene del viaggiatore, il divieto di lasciare Marrakech senza prima essersi ingozzati di ogni specie di cibo marocchino.
Ho passato le settimane successive al mio ritorno pensando ai baghrir e msaman con burro e frutta fresca speziata per colazione, ai mille shawarma mangiati in ogni angolo della città accompagnati da montagne di Patate fritte (SI! con la P maiuscola), al profumo del mio amatissimo khobz appena sfornato al mattino che invadeva i souk nei dintorni del raid dove alloggiavo, ai batbout e alharcha che mi hanno tenuto compagnia durante le bellissime soste lungo la strada verso il deserto…alle mille e una Tajine di ogni specie e natura. Per non parlare dei milioni di tè alla menta, tè berberi e le spremute del pomeriggio nella piazza centrale.
Il paradiso delle mie papille gustative. E non c’è stato un solo posto dove non abbia mangiato qualcosa di buonissimo.















NOTE: questa è una città che lascia morire di fame gli schizzinosi, ma vi assicuro che non c’è motivo di esserlo. Ricordate solo di prestare attenzione a dove e cosa bevete e vi eviterete la temutissima “febbre del viaggiatore”. Per il resto: Mangiate. Mangiate tutto ciò che potete!